Seminari Anpi: Ilaria Vergineo su Antifascismo e Resistenza in Gobetti e Bobbio

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Con il nuovo anno sono ripartiti i seminari organizzati dall’Officina di studi storico-politici Maria Penna dell’Anpi di Benevento e venerdì 19 gennaio il salone “Di Vittorio” della CGIL ha ospitato l’intervento di Ilaria Vergineo su Piero Gobetti e Norberto Bobbio: dall’antifascismo alla Resistenza.
Vergineo ha inaugurato il suo intervento motivando la volontà di muoversi tra i due intellettuali torinesi, sottolineando nel primo la riflessione lucida e “illuminata” retta da una grande passione etica e civile e nel secondo uno “sguardo sulla Resistenza mai banale, sempre semplice e diretto”.
L’Antifascismo e la Resistenza – ha proseguito Vergineo – vivono un rapporto che si potrebbe considerare simile a quello che è intercorso tra Illuminismo e Rivoluzione Francese e in quest’ottica non desta meraviglia che Gobetti si considerasse un seguace dell’Illuminismo: una “dimensione ideale”, quella antifascista, che sfocia nella “dimensione reale” della Resistenza.
L’elemento ideal-razionale è in chiara opposizione con il movimento fascista che, evidenzia Bobbio, si caratterizza come movimento antideologico, anzi un’ideologia negativa e, sempre su questa linea, Vergineo ha richiamato l’intervento di Umberto Eco, L’identikit del fascista, nel quale il grande semiologo annovera il culto dell’azione per l’azione e il rifiuto del pensiero critico tra gli  elementi caratteristici dell’essere fascista.
In realtà un tentativo di legittimare filosoficamente il Fascismo avviene, afferma Vergineo, con l’opera di Giovanni Gentile che prova a ricodificare il liberalismo, “piegando” la libertà dell’individuo e considerandola tale solo nella realizzazione statale, ma così facendo cancellandola.
Gobetti, al contrario, è un liberalista individualista nel senso della piena responsabilità delle proprie azioni e si potrebbe dire – continua Vergineo – che il suo sia stato un liberalismo pedagogico proprio perché pose al centro il problema educativo. Infatti egli vede una profonda impreparazione in quelli che vogliono governare il paese e che anzi, a causa di superficialità e demagogia, preparano solo la strada all’avvento del Fascismo.
Il deficit del paese è quello della mancanza di una rivoluzione liberale che dia vita ad «una classe politica che abbia chiara coscienza delle sue tradizioni storiche e delle esigenze sociali nascenti dalla partecipazione del popolo alla vita dello Stato». Per questa rivoluzione Gobetti guarda con attenzione al movimento operaio, unico movimento davvero laico che può paradossalmente dare vita a quella rivoluzione borghese mai esistita.
Questa rivoluzione, insieme pedagogica, civile e politica, è ancor di più necessaria poiché, ritiene Gobetti, durante il Fascismo emergono i vizi costitutivi del nostro paese; infatti, Mussolini è l’eroe rappresentativo dell’italiano che non cerca un governo, ma una disciplina paterna. In altri termini, afferma con forza Ilaria Vergineo, si baratta la libertà per la sicurezza con un movimento tipico di ogni regime totalitario.
Il Fascismo, come “autobiografia di una nazione”, diventa un atto di accusa nei confronti di quella arretratezza culturale del paese e dell’inadeguatezza delle sue classi dirigenti. L’assenza nel nostro paese dei processi di modernizzazione della società e della politica che in varie parti di Europa si sono manifestati con la riforma protestante e la nascita del capitalismo ha favorito la formazione di un animo servile perchè, afferma Vergineo citando Gobetti,  “né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di padroni, ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi”.
È il profondo senso della libertà che fa dire a Gobetti che “il nostro antifascismo prima che un’ideologia, è un istinto”, che lo spinge a battersi contro quella italica pigrizia che allontana dalla lotta politica quando, invece, “non è lecito essere apolitici quando si difendono le ragioni e i diritti fondamentali della critica, del pensiero, della dignità”.
Per questi motivi, continua Ilaria Vergineo, risulta ancor più drammatica, ma allo stesso tempo nobile la breve vita di un giovanissimo intellettuale che subisce sulla pelle e nella carne la violenza fascista, ma che non ha paura ad invocare la ghigliottina nella speranza che solo un sacrificio estremo possa svegliare il sonno in cui versa il paese tutto.
Alla luce di queste considerazioni, che hanno stimolato alla fine dell’intervento un vibrante e interessante dibattito, Ilaria Vergineo ha concluso che bisogna comprendere la funzione sostanziale dell’educazione soprattutto in tempi di crisi perchè “il cambiamento nasce solo da un cambiamento culturale attraverso la missione educativa della scuola”.

Il 9 febbraio alle 17.30 sempre presso la Cgil di Benevento il quinto appuntamento con il professore Giovanni Cerchia che presenterà il suo libro intitolato La memoria tradita: la II Guerra Mondiale nel mezzogiorno d’Italia.

Dario Melillo

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Seminari Anpi: si riparte venerdì 19 Gennaio

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Con il nuovo anno riprendono i seminari dell’Anpi di Benevento organizzati dall’Officina di studi storico-politici “Maria Penna”. Il prossimo appuntamento è previsto per venerdì 19 gennaio 2018 alle ore 17.30 nel salone “Di Vittorio” presso la CGIL di Benevento.
Ilaria Vergineo presenterà ai partecipanti un intervento dal titolo Piero Gobetti e Norberto Bobbio: dall’Antifascismo alla Resistenza.

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Don Milani e Dom Franzoni al centro del terzo seminario Anpi


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Venerdì 15 dicembre Amerigo Ciervo ha presentato ai partecipanti al terzo seminario Anpi i ritratti di don Lorenzo Milani e dom Giovanni Franzoni.
L’intervento ha dato ampio spazio all’inquadramento storico per sottolineare e dare risalto al carattere profetico delle parole e delle azioni del priore di Barbiana e dell’ex abate di San Paolo fuori le mura, parole ed azioni che pur provenendo da un mondo religioso hanno contribuito alla formazione di una religione laica, di un comune sentire circa i grandi temi dell’esistenza visti non nell’ottica di una particolare fede, ma in quella dell’essere umano.
Ciervo ha evidenziato fin da subito che per don Milani il problema era già chiaro alla fine degli anni Cinquanta: una Chiesa che cammina con i forti e lascia per strada i deboli. Per don Milani questa constatazione non era, però, limitata al solo ambito ecclesiastico, ma riguardava l’intera società italiana e il suo conservatorismo socio-economico, ovvero l’ingiustizia di lasciare i poveri nella povertà e i ricchi nell’opulenza. Ed è proprio perché i poveri “chiamano” che don Lorenzo sceglie di fare scuola, cerca di mettere in correlazione Vangelo e Costituzione.
La scuola, in altri termini, come mezzo di apostolato, una scelta fatta suo malgrado, per necessità, per un’esigenza di giustizia anche col rischio – concretizzatosi poi – di mettere in secondo piano il suo essere prete, i suoi doveri sacerdotali.
Il profeta don Milani – continua Ciervo – è stato anche accusato del lassismo della scuola pubblica italiana a causa della pedagogia della scuola di Barbiana, quella scuola che nasceva dalla convinzione che i poveri dovessero acquisire prima di tutto la parola per la conoscenza, la conquista e la difesa dei propri diritti, quella scuola nella quale si studiava 12 ore al giorno per 365 giorni all’anno.
Don Milani, invece, aveva semplicemente capito in netto anticipo ciò che ancora oggi molti si ostinano a non vedere e/o capire, ovvero che la scuola non potrà mai essere un’azienda perché la scuola non può e non deve essere il luogo dell’ingiustizia dove si fanno parti uguali tra disuguali, la scuola non può e non deve essere il luogo dove cercare di circoscrivere in una riserva indiana le eccellenze, ma deve essere il luogo dell’inclusione dove le eccellenze, quando ci sono, contribuiscono allo sviluppo di ogni persona all’interno della comunità.

Ciervo ha poi proseguito su dom Franzoni partendo anche da ricordi personali e dalla fortuna, in più di un’occasione, di una vicinanza all’ex abate che gli ha consentito di cogliere in prima persona lo spessore dell’uomo oltre che del religioso.
Franzoni è stato il più giovane partecipante al Vaticano II, la punta di diamante di quella parte di mondo cattolico che nel referendum del 1974 si espresse a favore del divorzio.
Tuttavia, quello fu solo un episodio, forse uno dei più eclatanti da un punto di vista del messaggio pubblico, ma di certo si può dire che Giovanni Franzoni sottoponeva la Chiesa intera a pressioni costanti in nome dell’annuncio evangelico e sostenuto dalla forza del messaggio della chiesa delle origini.
Egli ha sempre utilizzato – ha continuato Ciervo – la Bibbia e i padri della Chiesa per analizzare la realtà del suo tempo, per attaccare il potere e chi solo quello cercava, per scuotere la Chiesa divenuta parte integrante del sistema capitalistico contemporaneo.
Sospeso a divinis nel 1974 e poi ridotto alla stato laicale, Franzoni ha proseguito per tutta la sua vita, conclusasi nel luglio di quest’anno, nel solco di quei problemi e di quelle tematiche affrontate nelle omelie a San Paolo fuori le mura.
Come scrisse Pasolini recensendo il libro di Dom Franzoni Omelie a San Paolo fuori le mura (Mondadori, 1974): «Non c’è predica di Dom Franzoni, che, prendendo convenzionalmente il pretesto o dal Vangelo o dalle Lettere di San Paolo, non arrivi, implacabile, ad attaccare il potere nel suo ultimo immancabile delitto: in tutte le parti del mondo […].
Ora, tutto ciò, se detto o fatto da un laico, è quasi normale: sia pure nell’ambito di una élite culturale e politica. Detto e fatto da un prete, invece, è quasi commovente. Non mi è capitato poche volte leggendo queste prediche di dover dominare un’eccitata commozione. […] Ora un uomo come Dom Franzoni è stato sospeso dall’autorità vaticana a divinis. Tanto meglio. Resta però da chiedersi se per caso in Vaticano non si sia completamente dimenticato in che consistano le “cose divine”, e se i vescovi che al Sinodo si dichiarano progressisti non siano degli ipocriti, quando l’unico modo di essere progressista, per un prete, è evidentemente esserlo in modo estremistico (ossia cristiano) come Giovanni Franzoni».

Il prossimo appuntamento dei seminari Anpi promossi dall’Officina di studi storico politici Maria Penna è previsto per il 19 gennaio 2018 con un intervento di Ilaria Vergineo su Piero Gobetti e Norberto Bobbio: dall’antifascismo alla Resistenza.

Dario Melillo

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Terzo incontro dei seminari dell’Officina di studi Maria Penna

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Domani venerdì 15 dicembre alle ore 17, presso la sala “Di Vittorio” della CGIL di Benevento, ci sarà il terzo incontro del ciclo seminariale a cura dell’Officina di studi storico-politici Maria Penna dell’ANPI di Benevento.
Amerigo Ciervo proporrà un intervento dal titolo Lorenzo Milani e Giovanni Franzoni: i profeti giungono sempre in anticipo.

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Italiani, brava gente? Una nota del presidente Ciervo

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Italiani, brava gente
è un film di Giuseppe De Santis. Non bello come Riso amaro, che è uno dei capolavori del neorealismo italiano, con quel rapinoso quartetto di bellissime/i (Mangano, Dowing, Gassman, Vallone), ma utilissimo per avviare una riflessione, amara forse, ma necessaria, sullo stato di salute del paese, proprio in virtù di quel titolo, che reitera il più consolidato stereotipo, da noi medesimi forgiato, e, sempre a piene mani, utilizzato per descriverci. In realtà: per autoassolverci da tutte le colpe collettive commesse nei centocinquanta anni e passa della nostra storia nazionale.
Molto opportunamente, lo storico Angelo Del Boca, una quarantina d’anni dopo, sistema, a chiusura della celeberrima e “fortunata” espressione, un punto interrogativo grande quanto un grattacielo. Si trattava di fare i conti – ciò che, solitamente, fanno gli storici – con i crimini italiani in Africa e, in generale, con il colonialismo italiano, un’operazione storica che finì, però, per scontrarsi con quella sorta di archeologico fake, da tutti (o quasi) accettato, che, a priori, impediva la possibilità stessa di affermare certe tristissime verità (uso di gas, deportazioni di massa e, allargandoci ad altre “res gestae” italiche, occupazione e trasformazione in provincia della Slovenia, senza dimenticare mai le tragiche imprese compiute dalle varie “bande”, Carità e Koch, durante la Resistenza) “perché siamo, appunto, brava gente.”
Una passeggiatina in rete, fatta, ovviamente, “sine ira et studio”, che significa senza animosità  né pregiudizio, ci porta a concludere che l’espressione “Italiani, brava gente”, non è solo uno stereotipo ma è una menzogna. Una vera e propria balla. E, con l’autunno che sta finendo, ritorna l’imperativo categorico di riflettere su quanto si vede, si sente e si legge in giro. Sulle spiagge, nei bar, a passeggio con gli amici o nello studio del medico di base. Non c’è da essere ottimisti. Da qualunque parte la si guardi, sembra che il nostro paese si avvii verso un degrado – culturale, sociale politico, economico – da cui sarà sempre più difficile salvarsi. Ci avviamo a ricordare i settant’anni della Costituzione repubblicana e antifascista in una condizione di smarrimento totale e di generalizzato disagio. L’odio razziale – generato da quel fascismo, sempre con cura allevato e sempre gelosamente conservato nella pancia più profonda di vasti settori della nostra società, si fa per dire, civile e, anzi, perennemente rigenerato e rivisitato, negli ultimi anni, con i potentissimi e seducenti mezzi che i novelli padroni del mondo ci hanno messo a disposizione – oggi si riversa nei confronti dei poveri cristi dalla pelle nera che ci “infastidiscono” quando andiamo a riempire di cento prodotti i nostri carrelli anche di domenica. Caspita, che bello! Anche di notte. E si riversa, inoltre, su alcuni personaggi “simbolici”, per esempio la presidente della Camera, Laura Boldrini, sulla quale giornalisti – si fa sempre per dire – e uomini e donne che frequentano il web – hanno gareggiato nel confezionare, quasi ogni giorno, una serie infinita di “nefandezze”.
Una delle cause va ritrovata senza dubbio nel berlusconismo, una sorta di rivisitazione moderna della Weltschaung italica, oscillante tra la “zona d’ombra”, in cui prospera la maggioranza silenziosa, solitamente agghindata da “moderati” che si rispecchiano e si crogiolano nei titoli grevi e volgari dei giornali di riferimento, e i gruppi che covano, ed esplicitamente confessano, il desiderio e l’aspirazione, di rimettere in circolo il fascismo peggiore.
Ricordo che, nella nostra infanzia e nella nostra adolescenza, la vigilia o la sera del 25 aprile la TV della RAI democristiana – la stessa che censurava canzoni come “Si chiamava Gesù” di De André o “Dio è morto” di Guccini – trasmetteva gli straordinari film degli anni Cinquanta e Sessanta, che riempivano i nostri due vuoti: quello relativo alla conoscenza dei fatti, degli eventi (Fosse Ardeatine, Marzabotto, Boves, i fratelli Cervi) e l’altro, quello educante ad una religione civile di cui, lo si voglia o no, il tratto più eticamente qualificante è rappresentato proprio dalla lotta contro il nazifascismo. Poi cominciò la deriva di “Striscia la notizia” e della “Ruota della fortuna”, trasmissione, quest’ultima, a cui pare abbia trionfalmente partecipato, da giovane, anche il segretario PD. E quei film vennero riposti nei depositi della dimenticanza: roba vecchia, lagnosa, ripetitiva. Avanti, verso la modernità luccicante degli anni Ottanta, i pessimi, sotto tutti i sensi, anni Ottanta.
E’ dalla tragedia berlusconiana che derivano le terribili farse di questi giorni. Sul palcoscenico di un teatro, che ricorda, sempre di più, le antiche, maleodoranti sale di periferia – quelle sale dove, di mattina, per la proiezione delle undici, era facile incontrare vecchi in crisi di astinenza sessuale e studenti tutti intenti a praticare, molti anni prima della “buona scuola”, l’alternanza scuola-lavoro – si agitano leader improbabili, giovanili, aitanti, laccati, sostenuti da quei media di regime che sono soliti scandire, con le loro scelte, agende e narrazioni. Tutti, ben lo sappiamo, culturalmente muti ed eticamente sordi.
Sicché, per noi, l’unica prospettiva è quella di vigilare democraticamente, come si diceva una volta, e convincere le persone, giovani e meno giovani, a prendere (o a riprendere) in mano libri di storia, partecipare a seminari di studi, rivedersi un po’ di film e, soprattutto, mettere finalmente da parte lo sdoganamento e la banalizzazione dell’era berlusconiana, ritornando a essere “partigiani”, cioè stando dalla parte della libertà, della dignità, della democrazia, dell’uguaglianza. In breve, dalla parte della Costituzione. Ora è il tempo. Gingillarsi e cincischiare potrebbe essere pericoloso.

Il presidente dell’Anpi Sannio
Amerigo Ciervo

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Gruppi di difesa della donna

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Come Anpi del Sannio siamo felici e orgogliosi per l’egregio lavoro svolto dalla nostra vice-presidente Mariavittoria Albini che ha contribuito alla ricerca per le regioni meridionali, Lazio incluso, su i Gruppi di difesa della donna negli anni 1943-1945 resa pubblica e liberamente consultabile a fini di ricerca e a scopo didattico sul sito http://gdd.anpi.it.

Dopo due anni di lavoro sono stati pubblicati gli atti del convegno e i risultati della ricerca nati da un’idea del Coordinamento donne ANPI con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il 70° anniversario della Resistenza e della guerra di Liberazione.
I Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà (GDD) nascquero a Milano e Torino nel novembre 1943 con lo scopo di promuovere la Resistenza, aiutare le famiglie di partigiani, di carcerati, degli internati in Germania, ma allo stesso tempo di lottare espressamente per le donne e per i loro diritti. Le fondatrici dei GDD Lina Fibbi, Pina Palumbo, Ada Gobetti avevano posizioni politico-culturali diverse, ma tutte erano accomunate dall’antifascismo e in questa stessa ottica si mossero i Gruppi che, riprendendo lo spirito e l’impostazione del CLN, si posero come organizzazione, unitaria e di massa, di donne che condividevano il comune obiettivo della lotta al nazifascismo.
Anche se i GDD nacquero inizialmente per offrire un sostegno agli uomini impegnati nella lotta armata, tale compito puramente assistenziale venne immediatamente contraddetto, e materialmente contestato, dall’impegno attivo di molte delle donne coinvolte, un impegno consistente nell’attività di informazione, contropropaganda, collegamento, trasporto di ordini, stampa clandestina, armi e munizioni, sabotaggio e partecipazione diretta alla lotta armata.
Le donne dei GDD lavorarono soprattutto per il coinvolgimento delle altre donne nella vita politica, del momento resistenziale e del futuro, battendosi per la parità salariale, l’assistenza all’infanzia e alla maternità, la difesa delle lavoratrici madri, la partecipazione alla vita politica, il diritto al suffragio.
I GDD ebbero anche un proprio organo di stampa, ovviamente clandestino, il “Noi donne”, il cui primo numero fu pubblicato nell’aprile 1944 e che uscì fino alla Liberazione.
I GDD furono ufficialmente riconosciuti dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) nel giugno 1944. Le donne che vi parteciparono furono almeno 70.000.
La ricerca si è posta l’obiettivo di individuare e mappare sul territorio nazionale i documenti riconducibili ai Gruppi di Difesa della Donna e alle formazioni a essi legate prodotti nell’arco cronologico 1943-1945.

Qui è possibile scaricare il volume completo.

Dario Melillo

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Seminario Anpi alla mostra fotografica Catalogna bombardata

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foto da www.ottopagine.it

 

La mostra fotografica Catalogna bombardata è stata inaugurata sabato 25 all’interno della Rocca dei Rettori. Ad aprire l’evento anche un incontro a più voci che l’Anpi Benevento ha voluto inserire all’interno del suo ciclo di seminari promossi dall’Officina di studi storico politici Maria Penna.

All’inizio del seminario è stata letta una lettera di saluto della professoressa Ida Mauro dell’università di Barcellona, animatrice dell’associazione italo-catalana AltraItalia e traduttrice della mostra dal catalano all’italiano che, non potendo essere presente, ha tenuto a far sentire la sua presenza e vicinanza all’evento.

Aldo Oliveri, della Società Filosofica Italiana – Sezione Napoletana “Giambattista Vico”, ha sottolineato l’importante questione “metodologica” messa in gioco dalla rivoluzione libertaria che cominciò durante le prime fasi della guerra civile spagnola. Infatti, la rivoluzione fu un concreto tentativo di emancipazione senza la necessità di una guida statale o di partito, un tentativo nel quale si diede risalto al valore della collettivizzazione e dell’autogestione a prescindere dalla posizione ideologica degli individui. Tuttavia, ha proseguito Oliveri, la parola d’ordine “prima la guerra e poi la rivoluzione” tentò e riuscì ad imbrigliare quello che può essere considerato il più grande tentativo di rivoluzione sociale di ispirazione anarchica e libertaria che fu tradito, ha concluso infine Oliveri, a livello dei dirigenti e non certo dalla base.

Nicola Di Matteo, docente di Economia politica all’università di Salerno, si è soffermato sulle condizioni macro e microeconomiche all’interno delle quali si sono dipanati gli eventi storici della guerra civile. In particolar modo si è concentrato sulla crisi economica degli anni trenta che ha rappresentato un fenomeno sociale che aveva le sue origini nel modo di produzione capitalistico: la produzione legata esclusivamente al guadagno. Di Matteo ha voluto, inoltre, evidenziare con forza come questa visione, tutt’ora centrale nella maggior parte dei paesi del mondo, non possa migliorare in maniera indefinita le condizioni di vita degli individui e debba, invece, fare i conti con la drammaticità delle ingiustizie sociali.

Infine Lorenzo Morricone, del Cento di documentazione Pasquale Martignetti, ha brevemente analizzato la dimensione africana della guerra civile spagnola e il peso dei 12000 uomini trasportati dall’Africa in Spagna sulle sorti della guerra ed inoltre ha ribadito come la violenza e la ferocia delle guerre europee di conquista coloniale siano state l’anticamera di ciò che poi si è realizzato sul fronte europeo. Proprio a tal riguardo Morricone ha voluto far presente il tentativo che il Centro Pasquale Martignetti sta cercando con forza di portare avanti per dar vita ad un giorno della memoria, il 19 febbraio, in ricordo delle vittime africane dell’imperialismo europeo.

La mostra sarà aperta ancora fino a giovedì 30.

Dario Melillo

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Catalogna bombardata: mostra fotografica alla Rocca dei rettori

Bombardamento aereo di Reus nel 1938 da parte di aerei Savoia S79 dell’Aviazione Legionaria italiana. © Archivio personale di Pere Martorell Jareño. Archivio Municipale di Reus

Bombardamento aereo di Reus nel 1938 da parte di aerei Savoia S79 dell’Aviazione Legionaria italiana. © Archivio personale di Pere Martorell Jareño. Archivio Municipale di Reus

 

Sabato 25 novembre sarà inaugurata la mostra fotografica Catalogna bombardata, 16 pannelli roll-up che ricordano l’orrore vissuto dalla popolazione catalana durante i bombardamenti nazi-fascisti nel corso della guerra civile spagnola (1936-1939).

La mostra sarà preceduta da un seminario dell’Officina di Studi Storico-Politici Maria Penna con la partecipazione di Amerigo Ciervo (ANPI), Nicola Di Matteo (università di Salerno), Ida Mauro (Università di Barcellona), Lorenzo Morricone (Centro Pasquale Martignetti), Aldo Oliveri (Società Filosofica Italiana).

La mostra è stata realizzata dal Memorial Democràtic della Generalitat de Catalunya in occasione del 75° anniversario dei bombardamenti.

In occasione dell’80° anniversario della Guerra civile spagnola le associazioni che avevano organizzato nel 2015 la “Mostra sulla Resistenza operaia a Berlino contro il nazismo” – Anpi, Aned, Centro Filippo Buonarroti Milano, Logos Genova – hanno deciso di proseguire nel progetto antifascista accogliendo l’invito del Memorial Democràtic ad organizzare un tour espositivo in Italia.

La Guerra civile spagnola fu il primo conflitto armato in cui l’aviazione rivestì un ruolo decisivo. I ripetuti bombardamenti che colpirono la “zona repubblicana” portarono nel cuore dell’Europa ciò che tutte le potenze imperialiste avevano ampiamente sperimentato nelle guerre coloniali.
Il ruolo dell’Italia fascista è una pagina poco conosciuta della nostra storia, allo stesso modo dell’eroica resistenza del popolo di Barcellona durata tre anni, pagina gloriosa della Resistenza europea.

La mostra organizzata dal Centro di documentazione e studi Pasquale Martignetti gode del patrocinio della Provincia di Benevento e del sostegno morale e materiale di Anppia, Anpi, Associaciò AltraItalia, Società filosofica Italiana.

www.mostracatalognabombardata.it

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Le Costituenti nella memoria

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A cura della FIAP, dell’ANPI, dell’IRSIFAR, Biblioteche di Roma e dell’Associazione Toponomastica femminile è promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale – Dipartimento Attività Culturali in collaborazione con Zètema Progetto Cultura, la mostra Le Costituenti nella memoria – Storie, Luoghi, Politiche.

A 70 anni dalla Costituzione questa mostra intende rendere omaggio alle 21 madri della Repubblica. Le brevi biografie riassumono la loro attività politica e i loro interventi nelle riunioni dell’Assemblea appaiono ancora oggi particolarmente attuali.

Casa della Memoria e della Storia – 16 novembre 2017 – 12 gennaio 2018

Inaugurazione: 16 novembre – ore 17.30

Introduce: Bianca Cimiotta Lami

Intervengono:

Beatrice Pisa – storica,

Livia Capasso – Associazione Toponomastica femminile

e rappresentanti delle Associazioni di Casa della Memoria e della Storia

Ingresso libero

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Tonino Conte inaugura i seminari Anpi con una relazione su Antonio Gramsci

Il presidente Amerigo Ciervo e il presidente onorario Tonino Conte

Il presidente Amerigo Ciervo e il presidente onorario Tonino Conte

 

Il 10 novembre, presso il salone “Di Vittorio” della Cgil di Benevento, il primo dei seminari promossi dall’Anpi Benevento e curati dall’Officina di studi storico-politici “Maria Penna”.
 Ad aprire i lavori, che termineranno a maggio 2018, il presidente onorario dell’associazione Tonino Conte con un intervento dal titolo Passato e presente nella concezione gramsciana della prassi rivoluzionaria.
La relazione, densa e ricca di numerosi spunti critici per riflettere sulla nostra contemporaneità, ha messo in evidenza la tensione critica di Gramsci verso una lettura complessa della realtà. 
La grandezza di Gramsci, ha proseguito Conte, sta nel non aver mai perso di vista Marx e l’organizzazione dei soviet, ma allo tempo stesso tempo risiede in un’elaborazione originale specifica della situazione italiana. 
Questa elaborazione specifica non cancella, tuttavia, l’orizzonte mondiale che è sempre ben presente in Gramsci il quale, anzi, vede nella storia d’Italia un’estraneità a qualsiasi forma di nazionalismo.
 Conte ha sottolineato più volte l’analisi globale che Gramsci fa del pensiero di Marx in opposizione a interpretazioni eccessivamente schiacciate sul versante economico.
 “La rivoluzione non è un atto taumaturgico, è un processo dialettico di sviluppo storico”; la rivoluzione è quella che avviene prima della rivoluzione per realizzare l’egemonia prima di assumere il potere.
 Ecco quindi delineato uno dei lasciti fondamentali del pensatore sardo: la direzione ideale, morale e culturale che si avvale di apparati di conquista, trasmissione e organizzazione del consenso.
Per questo, ha concluso Tonino Conte, oggi come allora vale quanto Gramsci scrisse sul primo numero de L’Ordine Nuovo, «istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza».

Il prossimo appuntamento dei seminari è previsto per venerdì 15 dicembre alle 17.30 con Amerigo Ciervo che relazionerà su Lorenzo Milani e Giovanni Franzoni: i profeti giungono sempre in anticipo.

Dario Melillo

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