Il discorso della responsabile della Commissione femminile dell’Anpi del Sannio

Qui di seguito il testo integrale dell’intervento della responsabile della Commissione femminile dell’Anpi del Sannio, Dolores Morra

Per Maria Penna
Per Marcella Monaco
Per Teresa Mattei
Per Ada Gobetti
Per Carla Capponi
Per i bambini partiti sui treni della felicità e le loro mamme affidatarie, che li hanno cresciuti come figli propri, anche senza legami di sangue, ma di farina cioccolato e abiti inamidati e vasche calde (senza trasformarli in sapone!).
Per le staffette e per le donne che hanno nascosto i partigiani. Per le donne stuprate dai
nazifascisti che hanno perso il futuro e sono state spogliate del diritto di raccontare.
Per le nostre madri costituenti.
Per Maddalena Cerasuolo e le nonne che hanno fatto la resistenza con le zappe.
Per le mamme sparate a vista.
Per tutti gli innocenti che sono saltati in aria: in una chiesa insieme al prete, in una villa
abbandonata, in una cascina, diventando erba rossa.
La nostra commissione femminile è nata dall’esigenza di dare voce a chi l’ha persa. A chi è
stata zittita. A chi non sapeva di stare cambiando la storia, salvando la vita a un intero paese.
Noi donne ANPI vogliamo trasmettere il senso della libertà che abbiamo ricevuto dalla lotta partigiana: perché senza che si capisca quanto è costata, non si trovano la forza e le ragioni per difenderla. Difendendoci, poi, dai continui attacchi che subdoli si mescolano a un’idea
semplice di felicità che non ha echi di giustizia sociale e di diritti e di pace.
Studiamo il passato e studieremo il presente, con gli occhi aperti e il cuore pulsante.
La passione e la forza, lo studio e la responsabilità. Per costruire un futuro condiviso e la gioia collettiva di chiamare “noi” tutte le donne e gli uomini antifascisti che vogliono
il pane e le rose.

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Il discorso del presidente del Comitato provinciale al corteo della Festa della Liberazione

Ecco il testo integrale dell’orazione per il 25 Aprile pronunciata dal presidente del Comitato provinciale di Benevento, Amerigo Ciervo

Carissime e carissimi partecipanti al 25 aprile del 2024.  

Quest’anno la memoria della Resistenza e della liberazione dal nazifascismo cade in un clima di grande preoccupazione per i pericoli che minacciano il mondo. Siamo di fronte a un processo che, quasi con un effetto moltiplicatore, scaturisce dall’aver sdoganato, con serenità, con pacatezza,  in un periodo ormai lungo, molte parole che, per la coscienza civile di questo paese, hanno  rappresentato quasi un tabù. La parola guerra che sta rientrando senza eccessivi problemi nella comunicazione quotidiana, più volte ripetuta dagli imbonitori dei mass media dediti a formare, nell’opinione pubblica, una sorta di pensiero unico in merito al clima di esasperazione bellicistica in cui le guerre in atto stanno di fatto precipitando il mondo occidentale. Tutto è in pericolo perché della guerra si parla spesso in modo irresponsabile, come se fosse una dura necessità o, peggio, una nuova e accettabile normalità.

Dunque urge un 25 aprile di liberazione dalla guerra. Un 25 aprile di un “Cessate il fuoco ovunque“.

E sembra un’idea arcaica, quella dell’Europa nata a Ventotene grazie al fecondo impegno di tre giovani antifascisti, lì confinati dal regime e non certamente inviati in villeggiatura, come ebbe incautamente a dire un personaggio che, dello sdoganamento culturale, ancor prima che politico, ha avuto grande responsabilità e ora anche omaggiato con un francobollo commemorativo. Sembra definitivamente morta l’idea di un Europa di pace, di distensione e di cooperazione tra i mondi. L’idea di un’Europa dei diritti sociali e civili, della democrazia, del progresso, dell’uguaglianza, dell’accoglienza. È l’Europa dei tecnocrati e degli economisti, non degli utopisti e dei politici, del presidente banchiere, come Suzette Bloch, la nipote di uno dei più grandi storici del Novecento, fucilato dai nazisti ottant’anni fa, ha recentemente definito il suo presidente. E così ritorna il riarmo generalizzato, ritornano le terribili analisi che sembrano condurre come naturale, logica conclusione alla necessità di entrare direttamente nel conflitto. E tutte queste idee vanno insinuandosi, tra il consapevole e l’inconsapevole, nell’opinione comune. L’Europa non svolge nessun ruolo indipendente, autonomo, si limita a muoversi lungo i sentieri dell’atlantismo statunitense più dogmatico.

Anche a casa nostra avvertiamo qualche pericolo. C’è un governo, assolutamente legittimo s’intende, che comprende una destra che ha le sue radici nel ventennio fascista e nelle sue nostalgie. Una destra estrema che in vari modi tende a reprimere qualsiasi dissenso, qualsiasi protesta. Una destra estrema aggressiva, vendicativa e rivendicativa, che è in  guerra aperta con i principi fondanti della Costituzione e i valori dell’Antifascismo e della Resistenza. Quotidianamente, a piccoli passi, ma con continuità e perseveranza, assistiamo a un’opera di scavo che tende a mutare i nostri riferimenti ideali, a riscrivere la storia, a capovolgerne i parametri di riferimento, a impartirci, con storici improvvisati, giorno dopo giorno, nuove lezioni.  Ed ecco, in sequenza, la mortificazione delle conquiste del mondo del lavoro, la distruzione del carattere costituzionale della sanità e della scuola pubblica, la messa in crisi dello stesso diritto di sciopero e, ancora, la piena libertà riservata al grande Moloch del mercato, l’occupazione “manu militare” dei mezzi di informazione, l’attacco ai giornalisti ai quali si fa balenare addirittura l’arresto, la censura di scrittori e di scrittrici importanti, rei di non pensarla, dicono, come chi comanda – ma in democrazia non si comanda, si governa – e l’attacco ai diritti fondamentali conquistati dalle donne, il tutto nella consueta cornice fatta di razzismo, di xenofobia e di diffusione di paure e preoccupazioni immotivate. Tutto ci appare in pericolo perché ci sono milioni di poveri, dilaga il lavoro precario, con i tagli alla sanità e alla scuola pubblica, con l’intera Europa che rischia la recessione economica. C’è una grande solitudine sociale, il futuro viene visto non più come una speranza di miglioramento, ma  come una minaccia.

Sul piano delle istituzioni, la miscela esplosiva di autonomia differenziata più premierato produrrà la formazione di venti piccole patrie nelle mani dei cacicchi della politica, lo svuotamento del Parlamento nei suoi poteri legislativi e di controllo e di  legittimazione dei governi; il venir meno della separazione dei poteri con un Esecutivo eletto sulla base di uno stravolgimento della rappresentanza, con l’annullamento del ruolo del Parlamento e della  funzione di garanzia del Presidente della Repubblica. Il quadro ci sembra questo. 

Poi, per fortuna, ci sono i giorni come questi. I giorni della religione civile. I giorni che servono a marcare, a puntellare, a risvegliare, a ritrovare insieme i valori fondativi delle nostre comunità. Del nostro paese, della nostra patria. E oggi noi siamo qui, come in tutte le altre piazze d’Italia, a ricordare il Natale della nostra Repubblica. Ed è la storia che ce lo ricorda. La storia che – dobbiamo dirlo forte – si studia e non si querela. Il 25 aprile è il simbolo dell’Italia libera e liberata, dopo venti mesi di Resistenza e uno straordinario tributo di sangue e di dolore. È la fine dell’occupazione tedesca. È la fine del fascismo. È la fine dello Stato fascista, ma anche del vecchio Stato liberale, e l’avvio della costruzione di un nuovo Stato e di una nuova società.

La storia che abbiamo studiato ci ricorda che non ci sarebbero stati il due giugno, il primo voto delle donne, la scelta repubblicana, se non ci fosse stato il venticinque aprile. La storia che abbiamo studiato ci ricorda che, se non ci fosse stata la Resistenza, non avremmo potuto scriverci da noi la costituzione, che ci sarebbe stata, viceversa,  imposta dai vincitori. 

Che cosa è dunque il venticinque aprile per questo paese? È la fondazione su basi nuove della democrazia e della cittadinanza democratica, è la ridefinizione della sfera pubblica dei diritti, è la riaffermazione della strettissima connessione tra i diritti politici e sociali, è il riconoscimento costituzionale del lavoro. Il venticinque aprile ha aperto le porte ad una nuova Italia, all’Italia del conflitto e non del pensiero unico, del parlamento eletto proporzionalmente e non dell’uomo forte al comando, di una democrazia che include, che fa crescere, che si prende in cura – I care è lo slogan di Barbiana, pensato da un gigante del nostro Novecento,  – tutte e tutti, in special modo dei più deboli, di quelli per i quali la Repubblica deve preoccuparsi di rimuovere quegli ostacoli, economici e sociali che, limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, che impediscono il pieno sviluppo di ogni persona, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. 

 Il 25 aprile ha aperto le porte a una Repubblica che avrebbe dovuto vivere secondo i principi della legalità, programmaticamente redistribuire ricchezza, tutelare i beni comuni rispetto agli interessi di individualistici avviare un nuovo e civilissimo Stato sociale. Tutto ciò è contenuto nella Costituzione. Ora altissime personalità istituzionali ci dicono che in Costituzione non c’è mai l’aggettivo antifascista. Rispondiamo: non c’era affatto bisogno perché le idee fondative e   la visione politica e culturale della Costituzione sono esattamente la negazione delle idee e della visione del fascismo. E la costituzione sulla quale si giura porta in calce quattro firme: quella di un liberale napoletano che aveva votato per la monarchia, quella di  un democristiano trentino, quella di un liberale leccese e quella di un avvocato genovese che fu tra i fondatori del Partito comunista d’Italia. Qui sono dunque le fonti ideali della nostra religione civile. E sembra che i fascisti, veri o nostalgici, con la Costituzione non hanno nulla da spartire.   

E visto che stiamo parlando di religione civile, chiediamo alle istituzioni comunali di riparare quanto prima ad un torto grave. La toponomastica ha una grandissima funzione, in tal senso. Deve ricordare alla polis eventi significativi e uomini e donne che hanno offerto un contributo non irrilevante alla storia della nostra comunità politica. Ora la toponomastica di questa città, per certi versi, sembra si sia arrestata al Risorgimento e alla prima guerra mondiale o all’impresa di Italo Balbo, ben noto gerarca, responsabile delle violenze che uccisero don Giovanni Minzoni, il parroco di Argenta. C’è il principe di Napoli, ma non c’è una piazza intitolata alla Repubblica. E non c’è più piazza Giacomo Matteotti. Ecco: in occasione dei cento anni del rapimento e della uccisione del primo e tra i più  importanti martiri del fascismo, noi chiediamo ufficialmente al comune di Benevento di provvedere e di provvedere al più presto all’intitolazione di una strada o di una piazza centrale a Matteotti.

Concludo.     

Questo 25 aprile non può essere come gli altri. Da tutte le piazze d’Italia, dove in queste ore s’è radunata l’Italia democratica e antifascista, dove sono scese le famiglie, le donne, i giovani, si risvegli una nuova speranza di futuro, un futuro fatto di pace, di libertà, di dignità, di lavoro, di diritti. Costruiamolo insieme questo paese, costruiamolo migliore, sventolando le bandiere della Costituzione antifascista, la bandiera dell’Italia fondata sul lavoro, dell’Italia che ripudia la guerra, sventolando la bandiera di coloro dal cui sacrificio sorsero i semi di un’ Italia nuova.

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Conferenza di organizzazione delle Anpi del Mezzogiorno: importante momento di crescita

Sabato 6 e domenica 7 aprile si è tenuta a Paestum la prima Conferenza di organizzazione delle Anpi del Mezzogiorno. È stata un’importante occasione di confronto e di analisi per la nostra associazione in vista delle battaglie contro l’autonomia differenziata, il premierato e per la difesa della Costituzione.
Tuttavia, i temi all’ordine del giorno affrontati dalle delegate e dai delegati delle 8 regioni interessate (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) sono stati numerosi: le guerre, il clima, la scuola, le migrazioni, l’antifascismo, i diritti umani, l’organizzazione interna.
Proprio su questo punto si è soffermato il nostro presidente provinciale Amerigo Ciervo, rimarcando l’importanza per l’associazione di dare sempre maggiore spazio e responsabilità a giovani dirigenti capaci di guardare con nuovi occhi alla realtà del mondo per dare risposte concrete ed efficaci ai problemi della società.
Importanti inoltre sono stati gli interventi di coloro che hanno evidenziato, come ormai da tempo ha già fatto la storiografia, che quello del Sud non è stato un contributo alla Resistenza, ma una partecipazione diretta in forme e modalità diverse rispetto al centro-nord Italia dove i tempi della guerra hanno creato le condizioni per organizzare in maniera più strutturata l’attività resistenziale.
Sono numerosi gli episodi di antifascismo, le rivolte contadine e operaie e gli atti di decisa opposizione al regime avvenuti ben prima dell’8 settembre e pertanto sarebbe sbagliato non considerare nella lotta di Liberazione queste forme di rivolta verso il regime. A tutto ciò poi si deve aggiungere il contributo di tantissimi giovani meridionali che hanno combattuto in tutta Italia e che per decenni non sono stati ricordati dalle istituzioni locali.
Anche l’Anpi del Sannio deve, da questo punto di vista, contribuire ancor di più al recupero delle storie e delle memorie di quelle donne e di quegli uomini che hanno fatto una scelta di parte, che hanno scelto di essere partigiane e partigiani, agli Imi che, internati nei lager tedeschi, a fronte di fame, sevizie e umiliazioni di ogni tipo, continuarono ad opporsi ad ogni forma di collaborazione con i nazifascisti.
Recuperare la memorie di tutte e tutti loro significa compiere un gesto di giustizia verso coloro che hanno riscattato la dignità e l’onore di un paese messo in ginocchio da oltre vent’anni di dittatura fascista.
Significa scrivere storie che danno senso e valori condivisi su cui far crescere le nostre comunità.

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Cerimonia commemorativa del maresciallo CC Francesco Pepicelli, martire santangiolese delle Fosse Ardeatine

Lunedì 25 marzo prossimo il Comune di Sant’Angelo a Cupolo, l’Arma dei Carabinieri, l’I.C. “G. Siani” e il comitato provinciale dell’ANPI del Sannio ricorderanno l’80° anniversario del sacrificio del maresciallo dei carabinieri, il santangiolese Francesco Pepicelli, medaglia d’oro al valor militare “alla memoria”, trucidato dalla barbarie nazifascista, alle Fosse Ardeatine, il 24 marzo del 1944. La cerimonia si svolgerà, lunedì prossimo, venticinque marzo, alle ore 10, a Sant’Angelo a Cupolo, il paese dove Pepicelli era nato, nel 1906.

Dopo l’esecuzione dell’inno nazionale, due carabinieri in grande uniforme deporranno una corona d’alloro presso la lapide dedicata al martire delle Fosse Ardeatine e, successivamente, il trombettiere eseguirà il silenzio d’ordinanza.

A seguire, nella palestra dell’I.C., dopo i saluti istituzionali del sindaco di sant’Angelo a Cupolo, Diego Cataffo, del colonnello Enrico Calandro, comandante provinciale dell’Arma, della prof.ssa Beatrice Oliva, D.S. dell’I.C, “G. Siani” e del prof. Amerigo Ciervo, presidente provinciale dell’ANP, il prof. Erminio Fonzo, ricercatore di Storia contemporanea presso l’Università di Salerno e presidente della sezione Anpi di Benevento, ricorderà la figura di Pepicelli, leggendo la sua vicenda in un  quadro storico generale, dalla  partecipazione alla Resistenza  fino alla fucilazione alle Fosse Ardeatine, divenuta  la strage-simbolo del nazifascismo in Italia.  All’interno della manifestazione, l’orchestra degli alunni e delle alunne dell’I.C. eseguirà dei brani musicali.

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Centenario della morte: doverosa una intestazione a Giacomo Matteotti

intervento elaborato dalla professoressa Teresa Simeone, componente del Gruppo di lavoro sulla Toponomastica dell’ Anpi Provinciale di Benevento

La toponomastica, abbiamo sottolineato più volte in queste ultime settimane, racconta la storia e le scelte, non solo culturali, ma anche politiche, di una città che intende conservare e rilanciare esempi di vita ai propri cittadini e ai cittadini del domani.
Non appaia polemicamente pretestuoso, perciò, continuare ad alimentare il dibattito che abbiamo avviato sull’opportunità di riportare criticamente alla coscienza, rinnovandone qualche ricordo sbiadito dal tempo, il significato di alcune strade di Benevento. È in tal senso che si muove la nostra iniziativa come gruppo ANPI, che non ha alcuna intenzione di stravolgere il volto della città né di creare difficoltà all’amministrazione e men che meno alla società civile. Conosciamo bene come sia complesso l’iter di denominazione di nuove strade e come richieda il consenso congiunto di Enti e soggetti diversi, nonché quanto stratificate siano alcune abitudini e come ci siano cari e ormai parte della nostra quotidianità i nomi delle vie tra le quali ci muoviamo; non ci nascondiamo neppure le difficoltà di tipo logistico che si creerebbero nel momento in cui si andassero a modificare gli indirizzi di abitazioni e attività commerciali. Nello stesso tempo, ci appare anche necessario far prendere consapevolezza del significato storico di scelte fatte nel passato e interrogarsi se siano sempre e del tutto ancora condivise.
È coerente, ad esempio, con il presente e il futuro che si vogliono indicare alle nuove generazioni avere strade intitolate all’impresa di Italo Balbo che, per quanto importante come aviatore, è stato un esponente di primo piano del fascismo e responsabile di violenze come quelle che causarono la morte di Giovanni Minzoni? Sacerdote concretamente impegnato nel sociale, quest’ultimo fu promotore di azioni volte a migliorare le condizioni culturali delle classi più umili e ad aiutare, attraverso rivendicazioni di carattere salariale, i lavoratori agricoli. Si oppose allo squadrismo fascista, condannandone le violenze e rifiutando ogni addomesticamento della propria coscienza alla brutalità dilagante. Aggredito la sera del 23 agosto del 1923, nei pressi della canonica, morì per gli effetti delle percosse: lo scandalo e il moto di indignazione che ne seguì costrinsero Italo Balbo, a cui facevano capo gli aggressori, a dimettersi da console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Noi abbiamo un viale, uno dei più belli di Benevento, che ne esalta le imprese: nulla quaestio, si dirà, però intanto dobbiamo sapere a chi rimanda la dicitura “degli Atlantici”.
Benché siano emerse, tra le molte sensibilità, proposte su eventuali sue intitolazioni, ad esempio, alla Repubblica, alla Liberazione o a qualsiasi evento che si faccia portatore di un messaggio di apertura, di pluralismo, di democrazia, qualcosa, cioè, di totalmente contrario all’ideologia fascista, non sono sottovalutate le difficoltà che ne seguirebbero; crediamo comunque importante riportare l’origine della sua intestazione all’attenzione della popolazione.
Nessuna intenzione di revisione, invece, è stata avanzata per gli altri siti in odore di ventennio; men che meno con riferimento a via Perasso che Erminio Fonzo, ricercatore in Storia contemporanea presso l’Università degli studi di Salerno, ha inserito nel precedente comunicato per ricordare l’uso strumentalmente demagogico fatto dal regime fascista di un giovane coraggioso, Giovan Battista Perasso appunto, protagonista della vicenda entrata nella leggenda quando, nel 1746, appena undicenne, innescò la ribellione di Genova contro le truppe austriache che occupavano la città.
C’è poi l’annosa questione di piazza Santa Sofia che conserva ancora una targa in marmo con la scritta “Via Giacomo Matteotti”, in ricordo della precedente intitolazione al deputato socialista che fu rapito e ucciso il 10 giugno del 1924. Conosciamo un po’ tutti le traversie che ne hanno segnato l’iter, con il bagaglio di polemiche che hanno attraversato il periodo dal 1990 in poi, anno della famosa delibera con cui si è passati alla nuova denominazione. Siamo anche consapevoli che la piazza faccia parte ormai del Complesso di Santa Sofia diventato Patrimonio UNESCO, riconoscimento di cui siamo tutti sinceramente orgogliosi; allo stesso modo siamo orgogliosi di aver avuto nel nostro passato un politico, un antifascista come Giacomo Matteotti, della cui morte quest’anno ricorre l’anniversario: sarebbe doveroso, nonché un bel messaggio di civismo e di democrazia, intestargli, nel centenario del suo assassinio, una strada, una piazza o qualunque sito, speriamo non secondario, che possa rendere chiaro a tutti, cittadini sanniti e cittadini d’Italia ospiti della città, soprattutto ai nostri giovani, che Benevento, fiera capitale della Longobardia meridionale, riconosce il valore di un uomo simbolo di integrità e ripudia, anche attraverso l’odonomastica, quei terribili anni di sospensione dei diritti e di ogni forma pubblica di autonomia morale, politica e intellettuale in cui la coscienza civica fu asservita a una dittatura oppressiva e liberticida.


Teresa Simeone
Gruppo di lavoro sulla toponomastica
Anpi del Sannio

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Nota congiunta del Comitato Provinciale e della Sezione Alto Tammaro

La presentazione del libro di Edda Negri Mussolini, I Mussolini dopo Mussolini, il prossimo sette di gennaio a Morcone, prevista a conclusione di Inverno a Morcone, rassegna comprendente una serie di iniziative a cura delle molteplici associazioni morconesi e coordinate dal Comune, ci offre l’occasione per alcune necessarie riflessioni.

È davvero un tempo straordinario quello che ci è dato da vivere. Siamo consapevoli di essere testimoni di una trasformazione politico-culturale profonda, di cui le elezioni del 25 settembre non rappresentano altro che la punta dell’iceberg. La non elezione di Valentina Cuppi, presidente del PD e sindaca di Marzabotto, – il paese dove, nell’ottobre del 1944, Wehrmacht, SS e militari fascisti, gli alleati e i seguaci del nonno dell’autrice del libro in questione, trucidarono un migliaio di persone tra cui decine di donne e bambini: è bene ricordarlo ai più giovani, ma, forse, anche ai più anziani – e la sconfitta di Emanuele Fiano, figlio di un deportato di Auschwiz, ad opera della figlia di un esponente di “Ordine nuovo” nel collegio di Sesto san Giovanni parrebbe far pensare che l’antifascismo non corrisponda più alla religione civile di un pezzo rilevante della società italiana e all’idea-guida intorno a cui è nata la Repubblica. Sembra che esso non sia più culturalmente egemone. E ciò da quando è andata montando una delegittimazione strisciante della Resistenza, e si sono susseguiti errori di valutazione e scelte legislative precise, avallate anche da partiti del campo democratico. Sicché non meraviglia affatto la scelta dell’associazione morconese “Adotta il tuo paese” che, come sezione dell’Alto Tammaro e come Comitato Provinciale, con la presente nota, critichiamo e profondamente condanniamo.

È davvero singolare che, a fronte di una serie di libri sul fascismo, scritti da scrittori vincitori dello Strega, di storici rigorosi e di prestigiosi giornalisti, pubblicati in Italia nel 2022, in occasione del centenario della marcia su Roma – solo per citarne alcuni: Antonio Scurati, M, Gli ultimi giorni dell’Europa, Bompiani, 2022; Emilio Gentile, Storia del Fascismo, Laterza, 2022; Aldo Cazzullo, Mussolini il capobanda, perché dovremmo vergognarci del fascismo, Mondadori, 2022: autori certo non organici all’ANPI – si sia scelto proprio quello scritto dalla nipote del dittatore fascista.

Siamo convinti che ogni associazione sia responsabile e gestisca in proprio l’iniziativa proposta, ma ciò non si evince affatto dalle modalità con cui l’amministrazione comunale di Morcone, che coordina e pubblicizza l’Inverno a Morcone affastellando eventi eterogenei ed apponendo in calce i loghi di tutte le associazioni, come se “tutte promuovessero tutto”, tanto che erroneamente appaiono coinvolte nella presentazione del libro molte associazioni, non ultima La Cittadella, sempre attenta alle problematiche resistenziali e costituzionali e che, da tempo, si adopera per ricordare la figura di Gianni Iannelli, “Nincek”. E il nome di “Nincek” accresce, se possibile, ancora di più l’indignazione per la scelta di invitare una discendente diretta del fondatore del fascismo nel paese natale di un martire della Resistenza antifascista, all’inizio del 2023, l’anno dell’ottantesimo anniversario della caduta di Mussolini, dell’inizio della Resistenza, delle “Quattro giornate di Napoli” e delle stragi avvenute nel Sannio (Faicchio, Sant’Agata de’ Goti, Bonea).

Si poteva scegliere meglio. Si doveva scegliere meglio.

Sezione ANPI Alto Tammaro

Comitato provinciale ANPI Benevento 

Benevento, 28 dicembre 2022

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Lettera del presidente provinciale alle iscritte e agli iscritti dell’ANPI del Sannio

tessera anpi 2020

Carissime iscritte e cari iscritti dell’ANPI del Sannio,

l’intervento congiunto del comitato provinciale dell’ANPI e dell’Officina di studi storico-politici “Maria Penna” in merito a talune, stupefacenti “riabilitazioni bipartisan” – il caso Arturo Bocchini di San Giorgio del Sannio – mi offre l’occasione per rivolgermi a tutte e a tutti voi per aggiornarci sinteticamente sull’attività dell’anno che si sta chiudendo.

Ci troviamo a vivere una situazione, straordinaria e, per tanti aspetti, estremamente grave. Sicché dobbiamo prepararci ad affrontarla nel migliore dei modi possibile, e dunque, avviare, come auspica, nella sua relazione all’ultima riunione del Comitato nazionale, il nostro presidente, Gianfranco Pagliarulo, “una vera e propria nuova fase della lotta antifascista e democratica”. Il presidente aggiunge: “possiamo e dobbiamo farlo noi, perché ci è riconosciuto da tanta parte del mondo democratico il possesso di quelli che Albertina Soliani chiama giustamente i fondamentali, e cioè quell’insieme di radici, di principi, di valori, che affondano nella Resistenza, nella repubblica e nella Costituzione”.
“Tale sistema di valori riconducibili ai principi della giustizia sociale, della libertà, della democrazia, della solidarietà, della pace, è stato sempre interpretato da noi non in astratto, ma in stretta connessione con le sue incarnazioni istituzionali, in particolare con la Repubblica e la Costituzione, e con gli eventi politico-sociali che hanno scandito gli ultimi 70 anni”.
Di questi valori e, soprattutto, delle tre questioni che già avviluppano la vita del nostro paese, ossia la questione sanitaria, la questione sociale e la questione democratica, l’ANPI del Sannio cercherà sempre di prendersi cura né farà mancare il conseguente impegno e un’azione politico-culturale adeguata, all’interno delle prospettive e delle linee individuate dagli organismi nazionali, necessariamente calate all’interno delle nostre realtà territoriali.
A questo proposito vi ricordo che abbiamo chiuso il tesseramento del 2020 raggiungendo, pur con tutte le difficoltà dei periodi di clausura, il numero di 350, tra iscritte e iscritti. A tutti quelli che ci hanno già manifestato l’intenzione di rinnovarla ma non l’hanno ancora ricevuta, invieremo simbolicamente la riproduzione della tessera via mail.
Abbiamo dovuto rinviare sia la pubblicazione del terzo volume degli Atti dei seminari 2019-2020 che il ciclo delle lezioni 2020-2021 il cui programma è già stato quasi approntato per intero, e che sicuramente partirà on line, se, come sembra, non dovessero cambiare le norme anticovid, l’otto di gennaio del 2021.
Dopo il 12 dicembre, giorno in cui parteciperò, dalle 9.30 alle 14, a una riunione on line di tutti i presidenti provinciali dell’area Centro meridionale dell’ANPI con la direzione nazionale, convocherò la riunione del comitato provinciale che, ovviamente, non si svolgerà in presenza.
È dunque necessario non perderci di vista, di sapere che noi ci siamo e ci saremo sempre con la grande capacità di visione che sempre ha caratterizzato l’Associazione, quella capacità cioè di immaginare il futuro e di saper compiere le scelte giuste.
Invio a tutte e tutti il saluto più cordiale e affettuoso.
Amerigo Ciervo
presidente del Comitato provinciale ANPI di Benevento
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A proposito di “talune riabilitazioni alla memoria bipartisan”

Gerarchi fascisti e nazisti presenti ai funerali di Arturo Bocchini, tenutisi a Roma il 21 novembre 1940. Tra loro si riconosce Heinrich Himmler,

Gerarchi fascisti e nazisti ai funerali di Arturo Bocchini, tenutisi a Roma il 21 novembre 1940. Tra loro Heinrich Himmler.

 

Il nostro è un Paese che – a voler essere buoni – ha un rapporto difficile con la storia. A voler essere, invece, più schietti e diretti dovremmo affermare che non si tratti di un rapporto difficile quanto piuttosto di una mal celata indisposizione verso una disciplina che si caratterizza per due aspetti effettivamente scomodi: fatica e verità.

Affrontare il passato, infatti, spinti dal desiderio di conoscere le proprie radici, di comprendere le dinamiche e i fatti che hanno inciso sulla storia della propria comunità comporta un dispendio di energie fisiche e intellettuali di non poco conto, un dispendio che, però, si configura come itinerario inevitabile e necessario perché non esistono scorciatoie per raggiungere la verità.

In “questo benedetto assurdo bel paese” quando si apre una finestra sul fascismo diventa pressocché impossibile discuterne partendo dai fatti, dagli eventi e dalle vicende storiche perché si è subito sopraffatti da una valanga di distorsioni degli accadimenti storici, da vere e proprie bufale, da affermazioni capziose e fuorvianti.

Succede a livello nazionale se pensiamo in questi giorni alle comparsate televisive del giornalista Bruno Vespa il quale, nel presentare il suo ultimo libro, contribuisce a creare l’ennesimo capitolo del revisionismo storico italiano, ma accade anche a livello locale, nella nostra piccola provincia, come abbiamo potuto constatare leggendo l’articolo “Bocchini, una riabilitazione alla memoria bipartisan” apparso sull’edizione beneventana de “Il Mattino” di venerdì 20 novembre 2020.

Nell’articolo, che prende spunto dall’anniversario della scomparsa del capo della polizia fascista, ritroviamo le ormai tipiche affermazioni revisioniste che affondano le radici nel collettivo lavaggio di coscienze del mito del “bravo italiano”.

Nell’articolo viene detto di Bocchini che “malgrado si fosse spogliato dei suoi beni, oggi si cerca di far cadere nell’oblio il suo ricordo”, che “in un paese […] dove tante strade sono intitolate a politici e personaggi, in alcuni casi a dir poco chiacchierati, non si è trovato, se non una strada da intestargli, almeno uno spazio per attaccare, magari a una parete degli immobili donati, una targa che ricordi l’illustre donatore”, che sono sempre state riconosciute “le competenze professionali, il ruolo storico e anche una personalità particolare del senatore Arturo Bocchini”.

E se da un lato non stupisce che parte di queste dichiarazioni provengano dal mondo della destra sangiorgese, dall’altro, invece, colpisce che esse giungano dal primo cittadino del comune di San Giorgio del Sannio, Mario Pepe, come se il solo fatto di aver lasciato al suo paese natale i propri beni potesse cancellare con un colpo di spugna tutte le scelte, le decisioni e le azioni del braccio destro di Mussolini.

Quando le parole vengono utilizzate in maniera completamente decontestualizzata, ecco che un’affermazione del genere finisce per fare il gioco di quel senso comune diffuso secondo cui il fascismo in fondo non fu poi così male e che, anzi, “Mussolini fece anche cose buone” e con lui anche i suoi zelanti sgherri.

Contro questo modo di dare vita al dibattito pubblico, tanto a livello nazionale quanto a livello locale, ci opponiamo con tutta la forza che ci viene da una lettura della storia del nostro paese, da un’analisi attenta e per nulla superficiale delle scelte che donne e uomini hanno compiuto, scelte che hanno segnato momenti drammatici del nostro passato.

Pertanto, se di Arturo Bocchini si deve parlare lo si faccia raccontando chi è stato e quali scelte ha fatto; se dobbiamo fare un’operazione di verità allora – usando le parole di un appello scritto e firmato da numerose storiche e storici – “raccontiamo la storia, raccontiamola tutta”.

Se siamo sinceri democratici e convinti sostenitori della nostra Costituzione repubblicana e antifascista non mostriamo reticenze e parliamo di Arturo Bocchini, del capo della polizia e fondatore dell’Ovra, a cui Benito Mussolini affidò non solo il compito di reprimere ogni voce dissenziente, ma di rieducare un popolo e di ortopedizzare una nazione. Parliamo dell’uomo che mise in piedi un fitto sistema di controllo non soltanto destinato a sorvegliare e punire gli oppositori del regime, bensì ad insinuarsi nella fibra più intima della vita quotidiana di milioni di italiani.

Raccontiamo dell’ideatore di un apparato poliziesco pervasivo, alle dirette dipendenze del Duce e autonomo dai prefetti ai quali diede l’ordine di arrestare tutti i deputati del Partito Comunista d’Italia, fra cui Antonio Gramsci.

Non dimentichiamo che stiamo parlando dell’uomo che venne incaricato da Benito Mussolini di eliminare fisicamente Carlo Rosselli che allora risiedeva a Parigi e che fu barbaramente ucciso il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne insieme al fratello Nello.

Non lasciamo cadere nel dimenticatoio di chi la storia la vuole annacquare, indebolire, depotenziare il fatto che grazie alla sua rete di spie Arturo Bocchini fu l’artefice dell’arresto e del confino del futuro presidente della Repubblica, Sandro Pertini e di Alcide De Gasperi che in treno con la moglie cercava di lasciare il paese.

Pertanto, se di atteggiamento bipartisan si deve parlare in questa vicenda quello lo ha avuto senza dubbio Arturo Bocchini che, grazie agli ingenti fondi richiesti e ottenuti da Mussolini per potenziare l’attività repressiva, colpì con durezza gli esponenti di tutti i partiti politici che continuavano la loro azione di resistenza alla dittatura fascista.

E non trascuriamo che all’inizio del 1938, il capo della Polizia fascista ordinava di identificare e censire tutti i rom istriani, dividendoli tra soggetti con precedenti penali non pericolosi, soggetti senza precedenti penali e pericolosi e soggetti pericolosi; e poiché questo ancora non bastava aggiungiamoci il passaggio fondamentale a una vera e propria persecuzione che si può definire di natura razziale nei confronti di rom e sinti in quanto ‘zingari’ quando con l’ordine emanato l’11 settembre 1940 Bocchini dispone che “quelli nazionalità italiana certa o presunta ancora in circolazione vengano rastrellati nel più breve tempo possibile e concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte di ciascuna provincia».

Menzioniamo i suoi incontri con il criminale nazista Heinrich Himmler, capo della polizia tedesca, con il quale organizzò l’attività di repressione internazionale dell’OVRA e della Gestapo contro gli oppositori politici.

Questo e ancora altro è stato Arturo Bocchini e l’essersi “spogliato dei suoi beni” verso la fine della sua vita non fa di lui un novello Francesco d’Assisi né tanto meno essere entrato in possesso di quei beni impone al comune di San Giorgio del Sannio di celebrare un elemento di spicco della dittatura fascista, della pagina più buia e drammatica della storia del nostro Paese.

Pertanto, invitiamo il signor Sindaco, una volta terminati i lavori di completamento del palazzo comunale ex Arturo Bocchini, ad apporre una targa, ma che questa sia ampia e che riporti senza titubanze le scelte e le azioni del “viceduce” per fare in modo che nessuno possa pensare al Ventennio fascista con nostalgia e rimpianto, ma al contrario per allontanare, sulla consapevolezza della cancellazione dei diritti e delle libertà a cui Bocchini diede il suo nefasto contributo, ogni rischio di riabilitazione del regime fascista.

 

Il Comitato Provinciale dell’Anpi di Benevento

Officina di Studi storico-politici Maria Penna

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Il commento del presidente Ciervo sul 25 aprile

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È stato un 25 aprile sofferto, un po’ triste, sicuramente diverso a causa delle condizioni determinate dalla diffusione del virus e a causa delle forme e degli strumenti che abbiamo dovuto utilizzare per comunicare e condividere i nostri valori e le nostre idee. Ma è stato un 25 aprile esaltante e partecipato, quello del 75° anniversario della Liberazione. Siamo stati lontani ma uniti, tutte e tutti, a ricordare e a difendere le ragioni della Resistenza e i valori della Costituzione.
Emozionante è stato l’atto simbolico, che l’ANPI ha fortemente voluto, presso la rotonda “Maria Penna”, con la partecipazione del sindaco di Benevento, Clemente Mastella, che ringraziamo per aver aderito alla nostra richiesta. S’è davvero dimostrata vincente l’indicazione della direzione nazionale: la presenza delle istituzioni è la chiara, consolidata formalizzazione – è bene non dimenticarlo mai – che il 25 aprile, snodo fondamentale della storia italiana, è davvero la festa di tutte e di tutti. Restituiamo al mittente le ragioni addotte dai nostri connazionali che in tale festa non riescono ancora a riconoscersi. Non disperiamo che un giorno possa accadere.
E vincente s’è rivelata anche la scelta della nostra ANPI che, per un’occasione simile, ha scelto di dare corpo e voce a chiunque volesse onorare al meglio, ognuno secondo la propria sensibilità, il 25 aprile, sotto la parola d’ordine #LaResistenzaUnTempoCheDura.
Vorrei, per ringraziare, poter stringere in un abbraccio tutti coloro che hanno riempito con i loro contributi – fotografie, disegni, canti, poesie, brani, racconti, lettere, testimonianze, riflessioni – la nostra pagina FB. Tutto sarà conservato nell’archivio informatico, ma, soprattutto, tutto sarà conservato nella nostra memoria collettiva. L’arduo compito che ci attende, da subito, è ora quello di far lievitare, con l’impegno, con lo studio, con il rigore delle nostre scelte, con la trasparenza e con la limpidezza delle nostre posizioni, lo straordinario patrimonio di partecipazione e di creatività di questo 25 aprile testé trascorso, il 25 aprile del tempo della pandemia.

Amerigo Ciervo
Presidente provinciale ANPI di Benevento

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Il cordoglio dell’ANPI del Sannio per la scomparsa di Lida Iannelli

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Il comitato provinciale dell’Anpi di Benevento, a nome di tutti i suoi iscritti, esprime profondo cordoglio per la scomparsa di Lida Iannelli, sorella del partigiano Gianni Iannelli “Nincek”, fucilato a Varazze, nel savonese, nel 1944.

Lida, nonostante la distanza e le condizioni di salute sempre più delicate, ha seguito costantemente con affetto e attenzione il lavoro e l’impegno della nostra comunità antifascista sentendo forte il bisogno di conservare la memoria dell’impegno familiare alla lotta di liberazione dall’oppressione nazifascista.

Le nostre più sentite condoglianze a tutti i familiari alcuni dei quali continuano nell’Anpi sannita a manifestare e praticare gli ideali dell’antifascismo nei quali sono cresciuti.

Il Comitato provinciale dell’Anpi di Benevento

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