Giovanni Cerchia su antifascismo e Resistenza nel Mezzogiorno

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Venerdì 9 febbraio alle 17.30 presso la sala Di Vittorio della Cgil l’Anpi di Benevento ha avuto il piacere e la fortuna di poter ospitare il professore Giovanni Cerchia, docente di storia contemporanea all’università del Molise.
Il professore Cerchia ha presentato al pubblico presente in sala, attraverso un intervento che ha suscitato un interessante dibattito conclusivo, i risultati di anni di ricerche confluite nell’opera La memoria tradita. La Seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno d’Italia, Edizioni dell’Orso.
Il lavoro, che si è avvalso di numerosi documenti reperiti da archivi italiani e stranieri, pone al centro la questione della nostra identità nazionale che come scrive Cerchia “non è un dono della natura, un oggetto forgiato una volta e per sempre nelle officine della creazione”; l’identità, al contrario, è una categoria scivolosa, un meccanismo fragile, un sentimento, ma come ogni sentimento che si rispetti è capace di muovere il mondo, determina il nostro agire.
Questo sentimento è prodotto dalla memoria e per questo motivo l’identità degli italiani di oggi pone le sue radici nel ricordo di ciò che siamo stati nella seconda guerra mondiale, in tutto l’arco temporale della guerra e non solo nella sua fase conclusiva. Infatti, per troppo tempo la nostra Repubblica ha fondato la propria legittimità su antifascismo e Resistenza, su ciò che di meglio gli italiani hanno prodotto dall’unità ad oggi, senza tuttavia guardarsi dentro, senza fare luce su ciò che, invece, è stato il periodo che va dal 1940 al 1943. Infatti, ci siamo autoassolti, abbiamo costruito l’immagine di “italiani, brava gente”, abbiamo volutamente dimenticato e coperto il nostro ruolo di esecutori, carnefici, occupatori.
 Ci siamo dipinti e ritratti – scrive ancora Cerchia – “come guerrieri riluttanti, fascisti senza convinzione, eroi per caso”, abbiamo offerto a noi stessi e agli altri un’immagine tenera, gente buona costretta dalla sorte a fare quel che ha fatto, per riscattarci dal nostro passato nero.
In tutto questo processo di cancellazione e rivisitazione uno degli esiti più gravi è stato il “depennamento del Mezzogiorno dal racconto della Liberazione e della Resistenza”. Il Mezzogiorno, ha invece affermato con forza Giovanni Cerchia, ha espresso un livello di sofferenza inimmaginabile per il resto del paese. Si pensi, ad esempio, al fatto che la città più bombardata d’Italia è stata Napoli colpita in più riprese da inglesi, americani e tedeschi e che tutto il Mezzogiorno ha subito tanti di quei bombardamenti da far parlare di una “questione meridionale dei bombardamenti”.
Dalle carte, dunque, emerge che il Mezzogiorno non è affatto assente, ma semplicemente diverso: ad una prima fase sostanzialmente di resistenza patriottica durante la quale la guerra è stata fatta da soldati che privi di ordini hanno provato a resistere si è passati ad una seconda fase nella quale anche i civili hanno cominciato a combattere. Dopo Napoli sono insorte le altre città meridionali sempre con il connubio civili-militari. Questa diversità del Mezzogiorno, conclude Cerchia, ci deve far parlare anche per il sud Italia di Resistenza, senza paura di sbagliare e senza alcun timore di poter essere smentiti.
Nel meridione i comandi tedeschi ricevettero nuove regole di ingaggio, le stesse che la Wehrmacht utilizzò sul fronte orientale: fare terra bruciata, togliere tutte le risorse al territorio proprio per fiaccare ogni tentativo di resistenza e procacciarsi gli “schiavi” per costruire le linee di difesa contro gli alleati. La quasi totalità delle stragi naziste nel sud Italia avvenne dopo il settembre del 1943 quando ci fu un’ulteriore estremizzazione delle rappresaglie e si verificarono i principali eccidi in Terra di Lavoro, da Bellona a Conca della Campania.
Quelle stragi sarebbero dovute diventare il “perno di un ripensamento dell’identità regionale, una leva per riorganizzare le reti del potere politico e sociale dell’intero Mezzogiorno. Non è stata, non poteva essere, e non si volle che fosse come Marzabotto”.
La nostra storia, ha continuato Cerchia, è stata questa: una storia difficile, complicata, tormentata. 
Perchè è stata dimenticata? La risposta è da rintracciare in ragioni di carattere endogeno: ricostruire le linee di continuità nella filiera del potere da parte dei notabili liberali passati al fascismo e poi riciclatisi repubblicani.
In altri termini “si scelse di garantire una lineare continuità degli assetti economico-sociali e delle vecchie classi dirigenti, alle quali, in cambio di sostegno in funzione anticomunista, si prometteva di condonare i molti anni trascorsi all’ombra del fascio littorio. Non a caso, la stessa celebrazione del 25 aprile, data simbolo di una Repubblica fondata sui valori della Resistenza e dell’antifascismo, venne quasi dimenticata per un intero decennio, relegata ai margini dell’iniziativa e degli interessi del governo”. Oggi, grazie anche al lavoro importante di tanti storici e giovani ricercatori, c’è una nuova cornice nella quale poter inserire e dare senso alle tante vicende singole, individuali che altrimenti sarebbero rimaste senza voce e incomprensibili. Questa chiarezza, questa luce – ha concluso Cerchia – ci dà così il diritto di sapere la verità, ma al tempo stesso si manifesta nella forma di un moderno imperativo etico che ci  impone di ricordare.

Il prossimo appuntamento dei seminari dell’Anpi promossi dall’Officina di studi storico-politici “Maria Penna” è per venerdì 23 febbraio alle 17.30 con un intervento di Dario Melillo su Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo: quando l’etica non è a fondamento del diritto e della politica.

di Dario Melillo

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Comitato Provinciale ANPI del Sannio
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