Italiani, brava gente è un film di Giuseppe De Santis. Non bello come Riso amaro, che è uno dei capolavori del neorealismo italiano, con quel rapinoso quartetto di bellissime/i (Mangano, Dowing, Gassman, Vallone), ma utilissimo per avviare una riflessione, amara forse, ma necessaria, sullo stato di salute del paese, proprio in virtù di quel titolo, che reitera il più consolidato stereotipo, da noi medesimi forgiato, e, sempre a piene mani, utilizzato per descriverci. In realtà: per autoassolverci da tutte le colpe collettive commesse nei centocinquanta anni e passa della nostra storia nazionale.
Molto opportunamente, lo storico Angelo Del Boca, una quarantina d’anni dopo, sistema, a chiusura della celeberrima e “fortunata” espressione, un punto interrogativo grande quanto un grattacielo. Si trattava di fare i conti – ciò che, solitamente, fanno gli storici – con i crimini italiani in Africa e, in generale, con il colonialismo italiano, un’operazione storica che finì, però, per scontrarsi con quella sorta di archeologico fake, da tutti (o quasi) accettato, che, a priori, impediva la possibilità stessa di affermare certe tristissime verità (uso di gas, deportazioni di massa e, allargandoci ad altre “res gestae” italiche, occupazione e trasformazione in provincia della Slovenia, senza dimenticare mai le tragiche imprese compiute dalle varie “bande”, Carità e Koch, durante la Resistenza) “perché siamo, appunto, brava gente.”
Una passeggiatina in rete, fatta, ovviamente, “sine ira et studio”, che significa senza animosità né pregiudizio, ci porta a concludere che l’espressione “Italiani, brava gente”, non è solo uno stereotipo ma è una menzogna. Una vera e propria balla. E, con l’autunno che sta finendo, ritorna l’imperativo categorico di riflettere su quanto si vede, si sente e si legge in giro. Sulle spiagge, nei bar, a passeggio con gli amici o nello studio del medico di base. Non c’è da essere ottimisti. Da qualunque parte la si guardi, sembra che il nostro paese si avvii verso un degrado – culturale, sociale politico, economico – da cui sarà sempre più difficile salvarsi. Ci avviamo a ricordare i settant’anni della Costituzione repubblicana e antifascista in una condizione di smarrimento totale e di generalizzato disagio. L’odio razziale – generato da quel fascismo, sempre con cura allevato e sempre gelosamente conservato nella pancia più profonda di vasti settori della nostra società, si fa per dire, civile e, anzi, perennemente rigenerato e rivisitato, negli ultimi anni, con i potentissimi e seducenti mezzi che i novelli padroni del mondo ci hanno messo a disposizione – oggi si riversa nei confronti dei poveri cristi dalla pelle nera che ci “infastidiscono” quando andiamo a riempire di cento prodotti i nostri carrelli anche di domenica. Caspita, che bello! Anche di notte. E si riversa, inoltre, su alcuni personaggi “simbolici”, per esempio la presidente della Camera, Laura Boldrini, sulla quale giornalisti – si fa sempre per dire – e uomini e donne che frequentano il web – hanno gareggiato nel confezionare, quasi ogni giorno, una serie infinita di “nefandezze”.
Una delle cause va ritrovata senza dubbio nel berlusconismo, una sorta di rivisitazione moderna della Weltschaung italica, oscillante tra la “zona d’ombra”, in cui prospera la maggioranza silenziosa, solitamente agghindata da “moderati” che si rispecchiano e si crogiolano nei titoli grevi e volgari dei giornali di riferimento, e i gruppi che covano, ed esplicitamente confessano, il desiderio e l’aspirazione, di rimettere in circolo il fascismo peggiore.
Ricordo che, nella nostra infanzia e nella nostra adolescenza, la vigilia o la sera del 25 aprile la TV della RAI democristiana – la stessa che censurava canzoni come “Si chiamava Gesù” di De André o “Dio è morto” di Guccini – trasmetteva gli straordinari film degli anni Cinquanta e Sessanta, che riempivano i nostri due vuoti: quello relativo alla conoscenza dei fatti, degli eventi (Fosse Ardeatine, Marzabotto, Boves, i fratelli Cervi) e l’altro, quello educante ad una religione civile di cui, lo si voglia o no, il tratto più eticamente qualificante è rappresentato proprio dalla lotta contro il nazifascismo. Poi cominciò la deriva di “Striscia la notizia” e della “Ruota della fortuna”, trasmissione, quest’ultima, a cui pare abbia trionfalmente partecipato, da giovane, anche il segretario PD. E quei film vennero riposti nei depositi della dimenticanza: roba vecchia, lagnosa, ripetitiva. Avanti, verso la modernità luccicante degli anni Ottanta, i pessimi, sotto tutti i sensi, anni Ottanta.
E’ dalla tragedia berlusconiana che derivano le terribili farse di questi giorni. Sul palcoscenico di un teatro, che ricorda, sempre di più, le antiche, maleodoranti sale di periferia – quelle sale dove, di mattina, per la proiezione delle undici, era facile incontrare vecchi in crisi di astinenza sessuale e studenti tutti intenti a praticare, molti anni prima della “buona scuola”, l’alternanza scuola-lavoro – si agitano leader improbabili, giovanili, aitanti, laccati, sostenuti da quei media di regime che sono soliti scandire, con le loro scelte, agende e narrazioni. Tutti, ben lo sappiamo, culturalmente muti ed eticamente sordi.
Sicché, per noi, l’unica prospettiva è quella di vigilare democraticamente, come si diceva una volta, e convincere le persone, giovani e meno giovani, a prendere (o a riprendere) in mano libri di storia, partecipare a seminari di studi, rivedersi un po’ di film e, soprattutto, mettere finalmente da parte lo sdoganamento e la banalizzazione dell’era berlusconiana, ritornando a essere “partigiani”, cioè stando dalla parte della libertà, della dignità, della democrazia, dell’uguaglianza. In breve, dalla parte della Costituzione. Ora è il tempo. Gingillarsi e cincischiare potrebbe essere pericoloso.
Il presidente dell’Anpi Sannio
Amerigo Ciervo